PERCEZIONE E COMUNICAZIONE DEL RISCHIO, IL CASO COVID19

Il seguente testo è un estratto dall’intervento tenuto sabato 30/05/2020 nell’ambito del workshop “FIR Campania: strategie per la ripartenza” – con tematica “Gestione della comunità societaria: aspetti mentali e manageriali – organizzato dal Comitato Regionale Campania della Federazione italiana Rugby

 

Da qualche mese il principale argomento di conversazione e la maggiore preoccupazione delle persone è il COVID19 le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Senza entrare nel merito delle cifre, che peraltro ovviamente variano di giorno in giorno, vorrei focalizzarmi su due aspetti che questa crisi sanitaria ha fatto emergere: la comunicazione e la percezione del rischio.

Al momento non abbiamo ancora informazioni precise sulle caratteristiche del virus, nè su quali politiche di prevenzione e contenimento siano più efficaci, sembrerebbe quindi che proprio questa incertezza sia alla radice della grande preoccupazione legata al virus e ne condizioni anche il modo in cui ne percepiamo il rischio.

La percezione del rischio è una prerogativa chiave di molte teorie sul comportamento, tra queste troviamo la “Teoria della motivazione a proteggersi” secondo la quale, la motivazione a proteggersi dalla malattia  è il prodotto della percezione della gravità della minaccia, della percezione di vulnerabilità personale e dell’efficacia della risposta di coping (in psicologia il termine coping traducibile dall’inglese come “strategia di adattamento”, indica l’insieme dei meccanismi psicologici adattivi messi in  da un individuo per fronteggiare problemi emotivi ed interpersonali, allo scopo di gestire, ridurre o tollerare lo stress) nel ridurre la minaccia. La valutazione della minaccia consisterebbe dunque sostanzialmente in stime della probabilità di contrarre la malattia e della sua gravità.

Alla costruzione sociale del rischio concorrono molti fattori, anche piuttosto diversi tra loro: da un lato la scienza e la fiducia che le persone hanno in essa giocano un ruolo chiave, dall’altro lo stesso fanno elementi simbolici e irrazionali.

La percezione del rischio è però spesso distorta da errori cognitivi e quindi si può avere una sovrastima o una sottostima del rischio.

L’eccessivo ottimismo rispetto ai rischi per la salute è spesso osservato in relazione a rischi familiari, che seppure evidenti e noti, sono spesso percepiti in gran parte sotto controllo volontario (pensate a persone obese, o chi fuma e dice smetto quando voglio, o quando si crede che certe cose possano succedere solo agli altri). Questo ottimismo può comportare una errata percezione di sicurezza e la conseguente mancanza di giuste precauzioni. Ne risulta che alcune persone ritengono di poter controllare la loro esposizione alle malattie, di non aver bisogno di un vaccino perché meno sensibili alle malattie.

Solitamente invece, un pregiudizio pessimistico è più comune per i rischi percepiti come nuovi o meno familiari, ritenuti pertanto incontrollabili. Queste percezioni di rischio molto elevato, e a volte ingiustificato, possono portare al panico di massa e anche alla stigmatizzazione di specifici gruppi a rischio.

Perché le persone intraprendano volontariamente azioni precauzionali (quindi adeguate alla reale situazione) è necessario che queste siano prima di tutto consapevoli del rischio. Infatti le persone adottano comportamenti adeguati quando ritengono che siano realmente disponibili azioni protettive efficaci e quando ritengono di essere in grado di impegnarsi per adottare quel comportamento.

La gestione efficace dei rischi delle malattie, quando non è disponibile un vaccino, dipende in gran parte dal comportamento precauzionale della popolazione e questo, a sua volta, dipende in gran parte da una corretta comprensione del rischio, cioè una comunicazione che induca percezioni realistiche del rischio assieme ad una giusta competenza per promuovere e mettere in campo pratiche precauzionali.

Quando siamo insicuri e incerti su qualcosa facciamo affidamento sulle nostre sensazioni e su esperienze precedenti, invece che alle informazioni che ci vengono date. Ne sono un esempio le mascherine: indossarle o no. La diatriba è ancora aperta.

Il clima di incertezza rappresenta poi il terreno fertile per far fiorire la disinformazione, questo è il motivo per cui messaggi chiari, provenienti da fonti attendibili e indicazioni su cosa fare e come farlo sono essenziali durante la diffusione di un virus.

Messaggi di comunicazione del rischio che non sono compresi dal pubblico o che sono discordanti comportano inevitabilmente la mancanza di azioni precauzionali.

“Per comunicare efficacemente non basta utilizzare dati oggettivi o un approccio razionale, perché la percezione dei rischi è un fenomeno molto complesso che prende forma in base al vissuto e alle credenze delle persone”.

Purtroppo però i messaggi che comunicano rischi e allerte fanno gola ai media col risultato di una pericolosa e imprecisa amplificazione delle informazioni sul rischio reale che può portare al panico o, viceversa, al non fare nulla per proteggersi.

Sappiamo che in attesa di trattamenti specifici e di un vaccino i comportamenti previsti dei singoli (lavarsi le mani, gel , mascherina, distanza) sono le uniche armi che abbiamo per la gestione dell’emergenza.

Ma se i cittadini non hanno la percezione del rischio di contagio o sono terrorizzati, non attueranno queste prescrizioni perché ad influenzare il loro comportamento ci saranno i canali di comunicazione e le loro caratteristiche psicologiche.

Abbiamo avuto esempi di come la nostra valutazione del rischio non sempre segue logiche razionali (assalto ai supermercati appena attuata la “chiusura totale”, favorendo così il contagio).

L’incertezza dovuta poi alla novità porta a cercare informazioni  dappertutto, compresi i social, arrivando così ad avere anche false notizie o un eccesso di comunicazione.

Come comportarsi allora nell’ambito sportivo (e non solo) per rassicurare, ma senza abbassare gli allerta per la sicurezza?

Uno studio fatto nel Regno Unito suggerisce alcuni principi base per una efficace comunicazione sul covid19.

Il primo punto: l’obiettivo principale della comunicazione è mantenere la fiducia dei cittadini e poiché medici e scienziati hanno autorevolezza, sono quelli più capaci di diffondere fiducia nella comunità.

La comunicazione deve essere quanto più chiara e precisa in modo che non abbia bisogno di essere poi soggettivamente elaborata.

Perché le istruzioni da seguire vengano attuate occorre che siano comunicate in maniera semplice e facile da ricordare.

Man mano che si hanno più notizie sul virus occorre darle per ridurre il senso di incertezza.

Trasparenza operativa: mostrare il lavoro svolto dai vari operatori, cosa fanno le autorità per aiutare concretamente le persone nella gestione dell’emergenza.

Fare una comunicazione specifica e non generalizzata (diversi luoghi e diverse situazioni).

Evidenziare l’utilità percepita delle misure di contenimento adottate.

 

Valeria Lupidi – Vice Presidente ANCIS

 

ANCIS INTERVIENE AI WORKSHOP “FIR CAMPANIA: STRATEGIE PER LA RIPARTENZA”

La Vice Presidente ANCIS, dott.ssa Valeria Lupidi, interverrà in qualità di relatore sabato 30 maggio ad un workshop online organizzato dal Comitato Regionale Campania della Federazione Italiana Rugby.

“FIR Campania: strategie per la ripartenza” è il macro tema del ciclo di seminari formativi promosso dall’organo territoriale della FIR, ed ANCIS interverrà nella giornata dedicata alla “Gestione della comunità societaria: aspetti mentali e manageriali”. Grazie al suo background di tecnico e dirigente sportivo, la dott.ssa Lupidi relazionerà su: “Percezione del rischio e comunicazione: il caso COVID-19”, focalizzando l’attenzione su ciò che potrà cambiare dopo la pandemia in ambito comunicativo per le attività legate allo sport in via diretta ed indiretta.

Si tratta del primo intervento ufficiale in ambito prettamente sportivo dell’associazione, a testimonianza del costante progresso delle attività promosse dai singoli soci e dalla preziosa rete di relazioni creata in questi anni dall’Associazione Nazionale Consulenti Intelligence & Security.

POCO PIU’ DI UN’INFLUENZA

Aeroporto Leonardo Da Vinci, Roma, ore 12.00, 30 gennaio 2020. Anche se i telegiornali da giorni rimbalzano la notizia di una epidemia da Corona Virus in Cina, qui tutto è normale: solite file ai banchi del check in, code ai varchi di sicurezza e al controllo dei passaporti. Regolare imbarco passeggeri (strano, considerando i proverbiali ritardi!) sul volo Roma – Doha – Bangkok – Luang Prabang (interminabile viaggio per arrivare in Laos).

Ma in fondo perché preoccuparsi? questo virus – dicono gli esperti – è poco più di un’influenza, bisogna stare tranquilli. E con questo spirito e questa serenità, supportata da rassicurazioni avute prima di partire da: Ministero della Salute, Ministero degli Esteri, Agenzia di viaggio, numero verde epidemia, mi accingo a compiere il più incredibile viaggio della mia vita!

DOHA

Qualcosa di atipico si comincia a vedere al primo scalo nell’aeroporto di Doha nel Qatar: tutti (dico tutti: personale di terra, personale di volo, inservienti, passeggeri, negozianti, ecc.) con la mascherina ed i guanti. Ovunque, distanziati di massimo di 50 metri, distributori di gel per l’igiene delle mani. Postazioni sanitarie all’interno dell’aeroporto per la misurazione della temperatura. Primo pensiero: che strani questi arabi che per un virus che è poco più di un’influenza adottano così tante misure di prevenzione e contenimento: ma non saranno degli esagerati ipocondriaci? Vabbè: paese che vai, usanze che trovi!

Salgo sul secondo aereo che mi porterà a Bangkok: a bordo tutti – equipaggio e passeggeri – con guanti e mascherina (se ne sei sprovvisto ti forniscono loro tutto l’occorrente). Riflessione: è ovvio che stiano così perché la compagnia aerea è la stessa che mi ha portato fino a Doha, quindi le disposizioni di sicurezza valgono su tutte le loro tratte di volo (leggasi: sono ipocondriaci in qualunque parte del mondo si trovano).

BANGKOK

Aeroporto di Bangkok. Stessa scena: ogni persona indossa la mascherina e i guanti, distributori di gel disinfettante dappertutto, postazioni sanitarie per misurare la temperatura e termo scanner. Beh, qui però lo capisco, la Thailandia è relativamente vicina alla Cina e ci vivono tantissimi cinesi, forse temono che il virus possa arrivare fino da loro, e quindi si stanno attrezzando per evitare il contagio (penso: certo che sfiga stare così vicini geograficamente alla Cina; noi italiani che stiamo migliaia di chilometri distanti non abbiamo nulla di cui preoccuparci…e poi…comunque, è poco più di un’influenza).

LAOS

Finalmente, percorsa l’ultima tappa, arrivo all’aeroporto di Luang Prabang (Laos del nord) a poche centinaia di chilometri dal confine cinese e dalla regione dell’Hubei. Anche qui, mascherine (fornite gratuitamente ai turisti che ne sono sprovvisti), termo scanner, gel igienizzante e poster ovunque, con tutte le indicazioni sul corona virus e sulle precauzioni da utilizzare. Ma allora anche i laotiani sono ipocondriaci? Tanta attenzione per una malattia che è poco più di un’influenza. Però qualche dubbio mi comincia a sorgere quando: 1) mi forniscono una borraccia personale per evitare di avvicinare la bocca a bicchieri o bottiglie, 2) alcune visite previste nell’itinerario non vengono effettuate per “motivi di sicurezza”, 3) le scuole sono chiuse, 4) si gira solo con la mascherina, 5) nei musei si entra a piccoli gruppi, 6) per strada si trovano tantissimi presidi sanitari che spiegano quali precauzione adottare per evitare il contagio, 7) il gel disinfettante è onnipresente, 8) vengono sospesi i festeggiamenti del capodanno cinese (la festa, per loro, più importante in assoluto). Si certo, mi ripeto, queste precauzioni le adottano perché stanno vicino alla Cina, le notizie che invece mi arrivano nel frattempo dall’Italia sono completamente diverse: da noi si va allo stadio, al cinema, a teatro, ci si strizza nei mezzi pubblici, si va a scuola e a fare sport, i ristoranti ed i bar sono pieni e la vita scorre tranquillamente, anche perché il professor Burioni ha detto in TV da Fazio, che l’Italia è a “rischio zero”. Meno male, così una volta che sarò rientrata a casa non dovrò continuare ad avere tutte le accortezze che sto usando qui, anche perché portare tutto il giorno la mascherina è un po’ fastidioso e che noia fare la fila per entrare al museo o nei negozi; e poi, è mai possibile che ogni volta che prendo un autobus il conducente mi indica il gel per ricordarmi che devo disinfettarmi le mani! A volte mi viene da rammentargli che “noi” siamo quelli evoluti e loro sono “il terzo mondo”, quindi non devono certo dire a me come curare l’igiene personale o come comportarmi per non beccarmi un virus che, comunque, è poco più di un’influenza.

HA NOI

Aeroporto di Luang Prabang ore 11.00 del 5 febbraio 2020. Destinazione Ha Noi (Vietnam). Ma quanti controlli mi fanno? Io sto benissimo, sono italiana, non vengo mica da posti dove ci sono le epidemie! Fatemi imbarcare su questo aereo e finiamola con tutte queste storie: metti la mascherina perché stai in fila, toglila al banco del check in perché ti devono identificare, rimetti la mascherina per la fila al controllo di sicurezza, toglila quando passi sotto il metal detector perché ti devono vedere in faccia, metti la mascherina per la coda al controllo passaporti, toglila per farti identificare, fatti misurare la temperatura, passa il controllo sanitario, mettiti il gel sulle mani, che stress! Meno male che me ne sto andando in Vietnam, almeno lì non saranno paranoici come questi laotiani. Intanto però sull’aereo tutti (equipaggio e passeggeri) portano mascherina e guanti. Che strano. Prima di imbarcarmi ho sentito mia nipote a Roma e mi ha detto che da noi nessuno sta prendendo queste precauzioni. Questi orientali sono un po’ strani: stanno facendo una tragedia per una malattia che è poco più di un’influenza.

Ha Noi, megalopoli con dieci milioni di abitanti: e tutti e dieci milioni con la mascherina! Ma allora è una persecuzione. Capisco che la Cina è tanto vicina, però: chiudere le scuole, i musei, i mercati, i luoghi di aggregazione, consigliare vivamente l’uso dei dispositivi (le mascherine vengono distribuite a tutti gratuitamente nelle strade e nelle piazze), pretendere l’igienizzazione delle mani prima di salire sui bus, di entrare nei negozi, nei ristoranti, nei bar, ovunque insomma. E poi, tutti questi manifesti per strada che avvisano della possibilità di contrarre il corona virus e cosa bisogna fare per evitare l’infezione, mi sembra un po’ eccessivo. Anche se la mia convinzione che è poco più di un’influenza, comincia a vacillare.

Nei dieci giorni successivi mi convinco sempre più che, forse, la situazione è un po’ più seria di quanto mi hanno fatto credere quando sono partita dall’Italia. Ci sono tante cose “strane”, pochissimi turisti nella baia di Ha Long (uno dei posti più frequentati al mondo!), ovunque si entra scaglionati e prima occorre igienizzarsi le mani, le scuole continuano a restare chiuse e i bambini che si vedono in giro hanno tutti delle mascherine colorate o con i pupazzetti per renderle più graziose e accettabili da parte dei piccoli. Mi sposto all’interno del paese andando verso sud. Uso aerei, bus, anche la bicicletta, e sempre e ovunque i miei compagni inseparabili diventano i guanti, il gel, la mascherina.

SAIGON

Saigon (altra megalopoli con undici milioni di abitanti), aeroporto, canale sanitario prima di uscire. E appena fuori, la guida mi da tutte le istruzioni su come comportarmi vista l’emergenza corona virus. Ma allora la cosa è seria! Mi dice che in Vietnam ci sono pochissimi casi di contagio – si parla di decine in un paese di 100 milioni di abitanti – ma le prescrizioni imposte dal governo vanno rispettate e quindi si può girare, ma con le dovute attenzioni.

Da classica “scema turista italiana” mi scatto selfie indossando la mascherina che poi “wazzappo” agli amici in Italia, quasi a dire “ma guardate come mi tocca stare perché qui stanno attenti a tutto per non contagiarsi”. Da noi in Italia ci sono queste paranoie? Risposta dagli amici: assolutamente no. Qui a Roma tutto normale.

E siamo già a metà febbraio.

L’apoteosi la raggiungo al ritorno; viaggio: Saigon – Doha – Fiumicino. Solito leva e metti la mascherina in aeroporto a Saigon, termo scanner, canale sanitario. Stessa trafila a Doha. In volo tutti “mascherati” e finalmente: Fiumicino.

FIUMICINO

Nulla. Nessuno mi chiede da dove vengo, se ho qualche sintomo, nessuno indossa la mascherina, nessuno mi indirizza nel canale quarantena, quasi quasi ci resto male! Ma in fondo in Italia non c’è nessun pericolo e poi questa “epidemia cinese” è poco più di un’influenza.

Subisco, al rientro in ufficio, uno scherzo da tipico umorismo italiano: trovo la porta della mia stanza “nastrata” per impedire l’accesso e un cartello che avverte “zona contaminata – lupidivirus” e tante faccine disegnate che si sganasciano dal ridere. Si, divertente, ma io, intanto, (come si dice a Roma pe’ nun sape’ né legge’, né scrive) non saluto nessuno con baci e abbracci, mi tengo a debita distanza, mi disinfetto in continuazione le mani, e tutte le sere, mi misuro la temperatura….non si sa mai.

Roma, 17 aprile 2020. Vittime ad oggi in Italia per corona virus 22.754. Contagiati 106.962.

Forse non è poco più di un’influenza.

 

A cura di Valeria Lupidi, Vice Presidente ANCIS

 

 

NOTA REDAZIONALE

Senza perdere di vista la gravità del momento, abbiamo inteso sdrammatizzare l’attuale situazione che ha coinvolto tutti noi, con un breve racconto connesso al COVID19.
Invitiamo pertanto i soci ed i lettori a condividere con noi altri racconti che l’associazione si impegnerà a pubblicare, dal tema “La vita in tempo di pandemia”. Scriveteci a info@ancisonline.com

ANCIS A DISPOSIZIONE DEL CITTADINO

L’attuale emergenza CORONAVIRUS sta sconvolgendo le vite delle persone. Arrivano da più parti tante notizie, spesso confuse, poco rassicuranti o contrastanti tra loro. Mascherina sì o no? Andare al lavoro o stare in casa? Lo sport si può fare? E la scuola come riprenderà?

Sono interrogativi che tutti ci poniamo ed ai quali, in questa FASE 2, si stanno aggiungendo anche questioni connesse alla sicurezza, non solo sanitaria, ma anche, come ricordato da fonti istituzionali, quella connessa ad una recrudescenza della criminalità che in questo periodo di lockdown sembrava avesse avuto una battuta di arresto (fatta esclusione per la violenza domestica che, a causa della convivenza forzata, ha raggiunto livelli esponenziali).

La nostra associazione non è insensibile a queste nuove necessità ed insicurezze e mette a disposizione la propria esperienza nel settore della sicurezza e dell’indagine, nonché le professionalità di cui è dotata, per consulenze, consigli, suggerimenti, ricerca di soluzioni o anche solo per ascolto di chi, in questo momento così particolare, sente la necessità di parlare con qualcuno.

Potete contattarci scrivendo una mail a info@ancisonline.com oppure visitando la nostra pagina Facebook specificando la vostra richiesta di assistenza.

DIPLOMA DI CAVALIERE A.N.I.O.C. PER IL CONSIGLIERE SERAFIN

Il consigliere e socio fondatore ANCIS Gianandrea Serafin, Comandante della Polizia Locale di Cologna Veneta (VR), è stato fregiato del Diploma di Cavaliere da parte dell’Associazione Nazionale Insigniti Onorificenze Cavalleresche.

Hanno consegnato il titolo il Delegato Provinciale Cav. Luigi Roberto Bissoli ed il Responsabile Gruppo VoDae di Verona, Adelino Fasoli, membri di riferimento dell’ANIOC.

La serata celebrativa è stata occasione anche per presentare al pubblico accorso il testo “Bullismo e Cyberbullismo – aspetti teorici e pratici per operatori di Polizia” scritto da Gianandrea Serafin e dal Vicepresidente ANCIS Valeria Lupidi, edito da ANVU.

La cerimonia ufficiale si è tenuta lo scorso gennaio, ma a seguito della manutenzione straordinaria del nostro portale web, abbiamo inteso dare risalto alla notizia in questi giorni, in cui ormai il nostro nuovo sito internet è pressoché ultimato.

DECRETO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEL 24 MARZO 2020

Segnaliamo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 24 marzo 2020 del DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI. Riguarda ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID 19 – Riduzione stipendi delle più alte cariche dello Stato e dei maggiori stipendi pubblici.

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 18 marzo 2020, n. 18 recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 – Riduzione stipendi delle più alte cariche dello Stato e dei maggiori stipendi pubblici.





POTERI SPECIALI PER IL TRATTAMENTO DELLA PRIVACY NELL’EMERGENZA CORONAVIRUS

 

Li prevede il decreto legge varato il 9 marzo dal governo per rafforzare il sistema sanitario nazionale di fronte alla dilagante pandemia in corso. Secondo l’articolo 14 Protezione civile, ministero della Salute, Istituto superiore di sanità, ospedali e tutte le forze in campo per contenere il contagio e assistere i malati, possono raccogliere tutti i dati personali che ritengono necessari. Anche quelli inseriti nelle categorie più sensibili dal Regolamento europeo sulla privacy (Gdpr), tra cui dati biometrici e informazioni su condanne penali e reati.

La situazione di emergenza attiva ha determinato una serie di deroghe alla normativa in essere precedentemente, come, a titolo di esempio, la possibilità di fornire l’autorizzazione a trattare i dati in emergenza, anche data anche a voce.

Una situazione di emergenza nazionale, che ha reso necessario monitorare la diffusione del coronavirus, il provvedimento facilita la possibilità di utilizzare i dati e sulla condivisione di informazioni tra le forze in prima linea.
La deroga decade con la fine dell’emergenza.
Non c’è solo il trattamento dei dati sanitari sotto osservazione. Con lo spostamento d’urgenza di molte attività in rete, dalle lezioni alle udienze civili dei fino allo smart working, ci si interroga sulla sicurezza delle modalità di esecuzione e sulla necessità di una gestione professionale delle misure legate alle attività in rete.
RACCOLTA DEI DATI DA ENTI PUBBLICI
Dalla lettura del Decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14 recante “Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19” pubblicato in G.U. n. 62, il 9 marzo 2020, ed in vigore dal 10 marzo 2020, ci si rende immediatamente conto che la pandemia ha determinato un nuovo approccio alla gestione dei dati personali, una nuova modalità che, fino a poco tempo fa, poteva essere considerata come un’ipotesi meramente accademica.
«Il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale» art. 9 par. 2 lett. i) del Regolamento (UE) 2016/679.
Per analizzare compiutamente quali sia i cambiamenti , in questa particolare situazione, per il trattamento dei dati personali particolari, per finalità di emergenza sanitaria, è necessario esaminiamo tutte le nuove circolari che si susseguono come recentissima normativa.
Fondamentale, ad esempio, è l’ ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile con cui stata consentita la possibilità di realizzare trattamenti, ivi compresa la comunicazione tra loro, dei dati personali/dei dati particolari ed anche giudiziari necessari per l’espletamento della funzione di Protezione Civile, connessa all’insorgenza delle patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.
Il capo della Protezione civile prende spunto e motivazione dal Decreto Legge n. 14/20, all’art. 14 rispetto alla quale, la nostra Autorità Garante per la Protezione dei dati personali, aveva espresso parere favorevole con Provvedimento n. 15 del 2 febbraio 2020.
In pratica il cambiamento è impalpabile e riguarda solo l’aspetto di osmosi tra i dati in possesso dalla sanità pubblica che potranno essere utilizzati anche dal Servizio Nazionale della Protezione Civile e delle Strutture Operative ad esso connesse, limitatamente per finalità e per motivi di interesse pubblico.
Un flusso di scambio di dati tra i soggetti individuati dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, meglio noto come Codice della Protezione Civile, agli artt. 4 e 13.
RACCOLTA DATI DA PRIVATIIl garante della Privacy ha chiaramente chiarito in merito alla possibilità di raccogliere, all’atto della registrazione di visitatori e utenti, informazioni circa la presenza di sintomi da Coronavirus e notizie sugli ultimi spostamenti, come misura di prevenzione dal contagio, una prassi che si sta affermando.
Analogamente, datori di lavoro che cercano di acquisire una “autodichiarazione” da parte dei dipendenti in ordine all’assenza di sintomi influenzali, e vicende relative alla sfera privata.
La normativa d’urgenza adottata nelle ultime settimane prevedeva che chiunque avesse soggiornato nelle zone a rischio epidemiologico ( ex zone rosse ), dovesse comunicarlo alla azienda sanitaria territoriale, aspetto ormai decaduto per l’estensione della zona a tutto il territorio Italiano senza esclusioni.
I datori di lavoro devono invece astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa. La motivazione del diniego è che la raccolta dei dati è demandata a soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato. 
Le informazioni relative ai sintomi tipici del Coronavirus e alle informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo spettano agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla protezione civile, che sono gli organi deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate.
Resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il datore di lavoro, da suo canto, rimane la valutazione del rischio “biologico” derivante dal Coronavirus per la salute sul posto di lavoro e gli altri adempimenti connessi alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori per il tramite del medico competente, come, ad esempio, la possibilità di sottoporre a una visita straordinaria i lavoratori più esposti.
Nel caso in cui, nel corso dell’attività lavorativa, il dipendente che svolge mansioni a contatto con il pubblico (es. URP, prestazioni allo sportello) venga in relazione con un caso sospetto di Coronavirus, lo stesso, anche tramite il datore di lavoro, provvederà a comunicare la circostanza ai servizi sanitari il Garante ha invitato tutti i titolari del trattamento ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del Coronavirus, senza effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti.
RILEVAZIONE DELLA TEMPERATURA CORPOREA AI DIPENDENTIIl lavoratore potrebbe sottoporsi alla rilevazione con i termoscanner soltanto su base volontaria, ma anche questo sarebbe da escludersi in ragione dello stato di soggezione dello stesso nei confronti del datore di lavoro, rilevano alcuni giuristi.
Il Garante ha imposto alle aziende di astenersi dall’adozione di misure fai da te che comprendano la raccolta a priori e in modo sistematico e generalizzato di informazione sulla presenza di eventuali sintomi influenzali. L’eccezione che può essere sollevata è la presenza di un interesse pubblico superiore come prevede l’articolo 9 della normativa europea Gdpr per procedere al trattamento di dati sanitari; il decreto 81 del 2008 per la sicurezza sui luoghi di lavoro che permette al datore di lavoro, tramite il medico aziendale, di tutelare la sicurezza del lavoro e dei lavoratori.

A cura di Giuseppe Spanti

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L’ANCIS – Associazione Nazionale Consulenti Intelligence & Security, ha il piacere di informare i propri soci della stipula di convenzione con la Società Copying Broker. Sarà possibile per gli anni 2020, 2021 e 2022 incluso, usufruire di una scontistica dedicata nell’acquisto o noleggio di macchinari destinati alla stampa ed alle copie, o per i più elaborati macchinari multifunzione.


Operante nel settore del Solution Provider per aziende e professionisti, Copying Broker ha sede a Milano ma è operante su tutto il territorio nazionale grazie alla rete di 50 centri di assistenza.

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  • Stampanti, Multifunzioni Xerox, Canon, Kyocera formato A4: 15% dal prezzo di Listino.
Ulteriori informazioni sull’azienda fornitrice: copyingbroker.it

La Convenzione stipulata tra ANCIS e COPYING BROKER

MASTER IN ARCHEOLOGIA GIUDIZIARIA E CRIMINI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE

logo ANCIS

L’Associazione Nazionale Consulenti Intelligence & Security è lieta di informare i propri soci che sono state attivate agevolazioni economiche per la partecipazione al Master in ARCHEOLOGIA GIUDIZIARIA ECRIMINI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE promosso dal Centro per gli Studi Criminologici giuridici e sociologici.

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